Visione e strategia per un futuro più sostenibile

In un intervento su Il Sole 24 Ore, Manfredi Catella racconta la propria visione su come trasformare una crisi in un’opportunità storica per ridefinire un modello culturale evolutivo

21/05/2020

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La crisi sanitaria ed economica che stiamo vivendo ha evidenziato il lato fragile della globalizzazione che ne è anche il punto di forza: la connessione. Si tratta di una crisi di sistema che ci pone di fronte a una sfida epocale. Per questo il prossimo futuro dipenderà da ciascuno di noi, dal nostro modello culturale e comportamentale e dalla classe dirigente che dovrà tradurlo in scelte concrete per il Paese. Per la prima volta il mondo occidentale postmoderno vive una “scarsità” prolungata, dopo decenni di benessere che hanno illuso molte generazioni di una disponibilità illimitata. Come riemergeremo dalla doccia fredda dell’isolamento e delle sue inevitabili conseguenze economiche? Prevarrà un approccio individualistico di sopravvivenza o comprenderemo la necessità di un benessere più diffuso e sostenibile? Ogni crisi richiede visione, capacità di pianificazione e rapidità di esecuzione e questa, così profonda, ha bisogno di una classe dirigente in grado di assumersi la responsabilità di un ripensamento altrettanto profondo del ruolo post Covid che l’Italia può giocare in Europa e nel mondo partendo dai propri punti di forza. Occorrerà il coraggio di superare quell’approccio individualistico e conservativo che ha rallentato e indebolito il nostro Paese: campanilismo, gioco delle parti, faziosità, ma anche burocrazia ispirata al “non fare” e al “non far fare” e un’idea di Stato come centro di potere invece che alleato del cittadino e della società civile. Come imprenditore sono portato a vedere i problemi come occasione per trovare le soluzioni e le crisi come opportunità per trovare nuovi modi di reagire e innovare, favorendo il lavoro delle persone che sta alla base di tutto.
Questa crisi ci dà, come italiani, un’opportunità unica: cambiare il nostro Paese in meglio, tornando ad avere una visione e prendendoci la responsabilità di scelte coraggiose. Penso al nostro territorio, una delle più straordinarie risorse, sintesi unica al mondo di bellezza, cultura e storia. La crisi può essere un’occasione per aprire il “cantiere Italia”, accelerare il rinnovamento delle nostre città e la riqualificazione del patrimonio edilizio in considerazione dei cambiamenti climatici.

La digitalizzazione richiederà interventi infrastrutturali e, se governata adeguatamente, potrà contribuire in modo determinante anche a una maggiore sicurezza delle persone. I trasporti sono destinati a evolvere rapidamente in modo sostenibile e le infrastrutture logistiche destinate alla distribuzione dei beni dovranno essere potenziate e aggiornate rispetto alla crescita dell’e-commerce. La residenza integrata e inclusiva richiederà programmi di rinnovamento e di generazione su tutto il territorio italiano, così come scuole e ospedali un aggiornamento strutturale. Il settore del turismo potrà evolvere per diventare un’infrastruttura competitiva a livello mondiale. Gli spazi pubblici torneranno a essere centrali nel disegno di città resilienti e gli edifici, che diventeranno più complessi per tecnologia, sicurezza e prestazioni funzionali, richiederanno nuove competenze qualificate per i servizi di gestione. L’amministrazione pubblica dovrà ripensare integralmente l’occupazione attuale dei propri uffici, oltre a riconvertire prigioni, caserme, impianti produttivi spesso ancora presenti all’interno delle nostre città, generando potenzialmente uno dei programmi più straordinari di riorganizzazione e rifunzionalizzazione, eliminando sprechi, riducendo costi e aumentando efficienza e produttività. Le nostre città, più piccole rispetto alle grandi città del mondo e anche per questo più vivibili e sicure, se ben connesse con alta velocità o aeroporti locali, possono diventare un modello di sviluppo del territorio, migliore rispetto al modello delle megacity che l’esperienza Covid sta mettendo in crisi. Tutto questo non è solo un investimento per un “dopo”. Un programma strategico di questa ambizione avrebbe da subito un impatto significativo sull’economia reale, in termini di contributo alla crescita del Pil, con la creazione di lavoro e innovazione. E per attuarlo, ove venga declinato un piano industriale nazionale con incentivi adeguati e processi efficienti, abbiamo già tutto quello che occorre: la risorsa fondamentale, il nostro territorio e le nostre città; i capitali, i nostri investitori istituzionali, casse di previdenza, fondi pensione, fondazioni bancarie, assicurazioni, potrebbero conciliare rendimento finanziario e rendimento sociale ambientale ed economico, che è proprio della missione e dell’interesse di un investitore domestico. Le banche potrebbero riacquisire un ruolo virtuoso nel finanziare una politica industriale e imprenditoriale del Paese. Lo Stato con Cdp e altri veicoli potrebbe co-investire, lasciando al settore privato qualificato la responsabilità e la competenza di sviluppare. Abbiamo le competenze: il nostro sistema produttivo esprime imprese eccellenti che diventeranno più competitive anche in un contesto europeo e mondiale, generando nuovi posti di lavoro ed esportando modelli e prodotti italiani.
Siamo di fronte a un’opportunità storica: la potremo cogliere se sapremo esprimere un modello culturale evolutivo che metta finalmente la comunità al centro delle scelte e una classe dirigente responsabile, in grado di disegnare uno sviluppo sostenibile per il Paese e per tutti.

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